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IL TETRAGRAMMA NEL NUOVO TESTAMENTO
Di Matteo Pierro
Per
molto tempo si è creduto che il divino Tetragramma "YHWH",
reso in ebraico con le lettere %&%*, (il quale ricorre oltre 6800
volte nel testo ebraico del Vecchio Testamento) non comparisse negli scritti
originali del Nuovo Testamento. A l suo posto si credeva che gli scrittori
neotestamentari avessero usato il termine greco per "SIGNORE",
"KYRIOS".
Comunque,
sembra che tale opinione sia errata. Ecco alcuni fattori da considerare:
1) Il Tetragramma nella versione greca del VT, la Settanta (LXX).
Una
delle ragioni addotte a sostegno della summenzionata opinione era che la LXX
sostituiva "YHWH"
(%&%*) con il
termine "KYRIOS", (kurios) che era
l’equivalente greco della parola ebraica "ADONAY" usata da
alcuni ebrei quando nella lettura della Bibbia incontravano il Tetragramma.
Comunque,
recenti scoperte hanno mostrato che la pratica di sostituire nella LXX
"YHWH" con "KYRIOS" cominciò in un periodo
molto tardo rispetto all’inizio della diffusione di tale versione. Infatti,
le copie più antiche della LXX conservano il Tetragramma scritto in
caratteri ebraici nel testo greco. (vedi app. 1)
A
conferma di questo fatto ci sono le parole di Giacomo, il traduttore della
Vulgata latina. Egli scrisse nel prologo ai libri di Samuele e Re: "In
certi volumi greci troviamo tuttora il nome di Dio, il tetragramma, espresso in
caratteri antichi." E in una lettera scritta a Roma nel 384 dice:
"Il nono (nome di Dio) è composto di quattro lettere; lo si
pensava anecfòneton, cioè ineffabile, e si scrive con queste lettere: iod, he,
vau, he (=%&%*). Ma alcuni non l’hanno decifrato a motivo della
rassomiglianza dei segni e quando lo hanno trovato nei libri greci l’hanno
letto di solito PIPI (pipi)". S. Girolamo, Le
lettere, Roma, 1961, vol. 1, pp. 237, 238; confronta J.P. Migne, Patrologia
Latina, vol. 22, coll. 429, 430.
Ulteriore
conferma viene da The New International Dictionary of New Testament Theology,
che scrive: "Testi scoperti di recente mettono in dubbio l’idea che i
traduttori della LXX abbiano reso il Tetragramma JHWH con
KYRIOS. I più antichi mss. della LXX oggi disponibili hanno il
tetragramma scritto in lettere ebraiche nel testo greco. Questa consuetudine
fu conservata da successivi traduttori ebrei dell’Antico Testamento nei primi
secoli d.C.". Vol. 2, pag. 512.
Di
conseguenza si può facilmente dedurre che se gli scrittori del NT nelle loro
citazioni del VT usavano la LXX avrebbero di sicuro lasciato il
Tetragramma nei loro scritti così come ricorreva nella versione greca del VT.
In quanto alla correttezza di questa conclusione è interessante notare la
seguente dichiarazione fatta prima del ritrovamento di manoscritti comprovanti
che la LXX conteneva in origine il Tetragramma:
"Se
quella versione (LXX) avesse ritenuto il termine (YHWH),
oppure avesse usato un termine greco per JEHOVAH e un
altro per ADONAY, tale uso sarebbe stato senz’altro seguito nei
discorsi e nelle argomentazioni del NT. Quindi nostro Signore, nel citare il
110° Salmo, invece di dire ‘Il SIGNORE ha detto al mio SIGNORE’
avrebbe potuto dire: "JEHOVAH ha detto ad ADONI".
Supponiamo che uno studioso cristiano stesse traducendo in ebraico il
Testamento Greco: ogni volta che incontrava il termine KYRIOS, egli
avrebbe dovuto valutare se nel contesto c’era qualcosa che indicasse il vero
corrispondente ebraico; e questa è la difficoltà che sarebbe sorta nel tradurre
il NT in qualsiasi lingua se il titolo JEHOVAH fosse stato lasciato
nell’AT (LXX). Le Scritture Ebraiche avrebbero costituito una norma per
molti brani: infatti ogni volta che ricorre l’espressione ‘l’angelo del SIGNORE’,
sappiamo che il termine SIGNORE rappresenta JEHOVAH; si poteva
giungere a una conclusione simile per l’espressione ‘la parola del SIGNORE’,
secondo il precedente stabilito nell’AT; e così nel caso del titolo ‘il SIGNORE
degli eserciti". Quando invece ricorre l’espressione ‘mio SIGNORE’
o ‘nostro SIGNORE’, dovremmo sapere che sarebbe inammissibile il termine
JEHOVAH, e si dovrebbe usare ADONAY o ADONI". R. B. Girdlestone, Synonyms of the Old Testament,
1897, p. 43.
A
ulteriore sostegno di questa tesi vi sono le parole del prof. George Howard,
dell’Università della Georgia (USA), che osserva: "Quando la Settanta
che la Chiesa neotestamentaria usava e citava conteneva il nome divino in
caratteri ebraici, gli scrittori del Nuovo Testamento inclusero senza dubbio il
Tetragramma nelle loro citazioni". Biblical Archeology Review, March 1978, p. 14.
Di
conseguenza diversi traduttori del NT hanno lasciato il nome divino nelle
citazioni dal VT fatte dagli scrittori neotestamentari. Si possono notare, ad
esempio, le versioni di Benjamin Wilson, di Andrè Chouraqui, in
lingua Efik e in Malgascio. (vedi fot. n. 1-4)
2) Il Tetragramma nelle versioni ebraiche del NT
Come
molti sanno, il primo libro del NT, l’evangelo di Matteo, fu scritto in
ebraico. La prova di ciò si trova nell’opera di Girolamo De viris
inlustribus, cap. III, dov’è scritto:
"Matteo,
che è anche Levi, e che da pubblicano divenne apostolo, per primo compose un
Vangelo di Cristo in Giudea nella lingua e nei caratteri ebraici, a beneficio
di quelli della circoncisione che avevano creduto. Non si sa con sufficiente
certezza chi l’abbia poi tradotto in greco. Inoltre l’ebraico stesso è
conservato fino a questo giorno nella biblioteca di Cesarea, che il martire
Panfilo collezionò così diligentemente. Mi è stato anche permesso dai nazareni
che usano questo volume nella città sira di Berea di copiarlo".
Dal testo latino a cura di E. C. Richardson, pubblicato nella serie "Texte
und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur", vol.
14, Lipsia, 1896, pp. 8, 9.
E’
quindi naturale concludere che quando Matteo citava passi del VT in cui compariva
il Tetragramma (cosa che avveniva sia nel VT ebraico che in quello greco allora
disponibili) avrebbe di sicuro lasciato "YHWH" nel suo Vangelo
in quanto mai nessun ebreo osò togliere il Tetragramma dal testo ebraico della
Sacra Scrittura.
A
conferma di ciò vi sono almeno 27 versioni ebraiche del NT che
presentano il Tetragramma nelle citazioni del VT o dove il testo lo
richiede (si veda app. 2). Tre di queste sono le versioni di F. Delitsch,
di I. Salkinson e C. D. Ginsburg e della United Bible Societies,
ed. 1991. (vedi fot. 5, 6 e 7)
3) Il Tetragramma negli scritti cristiani secondo il Talmud babilonese
La
prima parte di quest’opera giudaica è intitolata Shabbath (Sabato) e
contiene un immenso codice di regole che stabiliscono cosa si poteva fare di
sabato. In un punto si discute se di sabato è lecito salvare i manoscritti
biblici dal fuoco, dopo di che si legge:
"Nel
testo si affermava: ‘Gli spazi bianchi (gilyohnim) e i Libri dei Minim,
non possiamo salvarli dal fuoco’. Rabbi Jose disse: ‘Nei giorni lavorativi
bisogna ritagliare i Nomi Divini che vi sono contenuti, nasconderli e bruciare
il resto’. Rabbi Tarfon disse: ‘Possa io seppellire mio figlio se non li
bruciassi insieme ai Nomi Divini che contengono qualora mi capitassero fra le
mani". – Dalla traduzione inglese del dott. H. Freedman.
La
parola "Minim" significa "settari" e secondo
il dott. Freedman è molto probabile che in questo passo indichi i
giudeo-cristiani. L’espressione "gli spazi bianchi"
traduce l’originale "gilyohnim" e poteva significare, applicando
ironicamente il termine, che gli scritti dei "Minim" valevano quanto
un rotolo bianco, cioè nulla. In alcuni dizionari questo termine è dato
come "Vangeli". In armonia con ciò, la frase che compare nel
Talmud prima del brano summenzionato dice: "I libri dei Minim sono come
spazi bianchi (gilyohnim)".
Così
nel libro Who was a Jew?, di L. H. Schiffman, il suindicato brano del
Talmud è tradotto: "Non salviamo dal fuoco i Vangeli e i libri dei
Minim. Vengono bruciati dove si trovano, essi e i loro Tetragrammi. Rabbi
Yose Ha-Gelili dice: ‘Durante la settimana si dovrebbero togliere da essi i
Tetragrammi, nasconderli e bruciare il resto’. Disse Rabbi Tarfon: ‘Possa io
seppellire i miei figli! Se mi capitassero fra le mani, li brucerei con tutti i
loro Tetragrammi". Il dott. Schiffman prosegue argomentando che qui
per "Minim" si intendono i cristiani ebrei.
Ed
è molto probabile che qui il Talmud si riferisca ai cristiani ebrei. E’
un’ipotesi che trova consensi fra gli studiosi, e nel Talmud sembra ben
suffragata dal contesto. In Shabbath il brano che segue la suddetta
citazione narra una storia riguardante Gamaliele e un giudice cristiano nella
quale si allude a parti del discorso della Montagna. Quindi, questo brano del
Talmud è una chiara indicazione che i cristiani inclusero il Tetragramma nei
loro Vangeli e scritti.
In
vista di tutto quanto precede ci sono valide ragioni per asserire che gli
scrittori del Nuovo Testamento riportarono il Tetragramma nella loro opera
divinamente ispirata.
Appendice 1
Elenco versioni della Settanta contenenti il Tetragramma:
1. LXX P.
Fouad Inv. 266 (si veda fot. n. 7)
2.
LXX VTS 10a
3.
LXX IEJ 12
4.
LXX VTS 10b
5.
4Q LXX Levb
6.
LXX P. Oxy. VII. 1007
7.
Aq Burkitt
8.
Aq Taylor
9. Sym. P. Vindob. G. 39777
10.
Ambrosiano O 39 sup.
Appendice 2
Elenco versioni ebraiche del NT contenenti il Tetragramma:
1. Vangelo
di Matteo, a cura di J. du Tillet, Parigi, 1555
2. Vangelo
di Matteo, di Shem-Tob ben Isaac Ibn Shaprut, 1385
3. Matteo ed
Ebrei, di S. Munster, Basilea, 1537 e 1557
4. Vangelo
di Matteo, di J. Quinquarboreus, Parigi, 1551
5. Vangeli
liturgici, di F. Petri, Wittenberg, 1537
6. Vangeli
liturgici, di J. Claius, Lipsia, 1576
7. NT, di E.
Hutter, Norimberga, 1599
8. NT, di W.
Robertson, Londra, 1661
9. Vangeli, di G.
B. Jona, Roma, 1668
10.
NT, di R. Caddick, Londra,
1798-1805
11.
NT, di T. Fry, Londra, 1817
12.
NT, di W. Greenfield, Londra, 1831